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Diario Aquilano /6 a

L'informazione di facciata dei media mainstream, la partecipazione e la democrazia. E una scossa 4.0
12 luglio 2009 - Alberto Puliafito


L'Aquila, Campo 3e32, MediaLab, ore 10:00

Questa dovrebbe essere l'ultima puntata di questo diario aquilano, visto che oggi si parte. Ma non lo sarà perché sono rimaste - a differenza di quanto dicevo promettendo che mi sarei occupato solo della manifestazione anti G8 - ancora alcune questioni in sospeso. Per ora ci limiteremo a sistemare i quattro tasselli banalissimi che si chiamano: comunicazione, democrazia, partecipazione e manifestazioni di dissenso. Un compito soverchiante ma necessario, giacché si sono mescolate, in questa città, le istanze dell'anti G8 e quelle degli aquilani.

Comunicazione. La realtà sfaccettata, come al solito, è fatta di persone che credono alle promesse di Berlusconi, di persone che - non riesco a immaginare niente di più aberrante - si mettono in fila per provare la stanza-simula-terremoti che è stata allestita nella caserma di Coppito che, finito il summit, è diventata una specie di Disneyworld, di persone che si vedono sui Tg nazionali e che dicono che tutto va ben.

Io credo che sarebbe più appropriato dire: facciamo finta che tutto va ben. E se Pino Scaccia, dal Tg1, può dire "Io non parlo e scrivo da Roma, ma parlo dall’Aquila, anzi dalla tendopoli dove passo tutte le giornate, chiacchierando con la gente. Nessuno mi deve dire quello che dicono gli aquilani: lo sento da solo", io posso permettermi di dire a Pino Scaccia: "evidentemente non hai parlato con gli aquilani con cui ho parlato io". Ho visto con i miei occhi testate nazionali intervistare le stesse persone che ho intervistato, con cui ho vissuto, e non posso accettare, da giornalista, da essere umano, che la realtà venga mistificata in questo modo.

I dati di fatto sono: i numeri non sono tali da consentire di ospitare tutti sotto a un tetto entro novembre 2009, e la fine lavori è prevista per dicembre 2009. In alcuni campi si vive bene - come si può vivere bene in tende da dieci-dodici persone, nemmeno questo viene detto al tg -, in altri male. Non c'è una zona franca fiscale: restituzione delle tasse prevista a partire da gennaio 2009. I media mainstream costruiscono una Cinecittà cartonata a L'Aquila. Come quella che ha visto Mr. Barak Obama. Una realtà fantasiosa e pericolosamente allineata.

Democrazia e partecipazione. Giacché sono le etichette più difficili, le mettiamo insieme. E' naturale che ci sia chi non ci si lamenta. C'è sempre chi non si lamenta, chi si abitua a tutto - l'italiano in questo è maestro - e può accettare nuove situazioni per sempre. Chi partecipa ha, dal mio punto di vista, una marcia in più. Alcuni imprenditori aquilani mi dicono che fino a ora hanno delegato ma dopo il terremoto vogliono essere parte attiva delle decisioni politiche: c'è chi si rende conto che non può subire passivamente. Sono i giovani, di solito. E chi lavora e si è fatto da sé, per usare un cliché.
Il Campo 3e32 del Parco Unicef all'Aquila, di cui vi ho parlato in questi giorni, è un luogo che dovete visitare per capire cosa intendo: ve lo consiglio vivamente. Passateci, andate a far vacanza in Abruzzo, scoprite cosa vuol dire terremoto e ricostruzione e considerate poi quel che fanno i giovani che autogestiscono il campo. Iniziative, concerti, musica, da mangiare e da bere e, soprattutto, incontri, discussioni, assemblee. Questa è veramente un'occasione unica, un punto da cui ricominciare, giacché questi giovani hanno capito che occorre comunicare. E così, appunto, Yes We Camp, le Last Ladies, gli slogan cantati ("Michelle, Carlà, venite nelle tende. Le donne aquilane vi aspettano in mutande"), le proposte, l'attivismo. Tutto questo ha un compito difficile, quello di sfruttare un'occasione che proviene da lutti e distruzione. E deve scontrarsi con almeno un paio di generazioni ormai drogate da anni e anni di democrazia espressa mettendo solamente una crocettina sul simboletto più tollerabile; deve scontrarsi con persone assuefatte. E' uno scontro complicatissimo. Soprattutto laddove i grandi della politica rifiutano l'ascolto delle istanze dal basso e piombano con le loro idee vecchie e per nulla innovative a imporsi dall'alto. Soprattutto laddove le più banali forme di espressione democratica - l'assemblea, il volantinaggio - vengono negate nei campi di tendopoli, per non meglio precisate ragioni di sicurezza.

Manifestazione del dissenso. E veniamo all'ultimo punto. Il giorno della manifestazione antiG8 ovviamente ero nel corteo. L'ho percorso tutto, dall'inizio alla fine. Era un corteo colorato e affaticato dalla salita e dal sole. Un corteo pacifico, che al suo interno conteneva gruppetti sparuti e isolati di persone che si lamentavano perché non succedeva niente (cosa avrebbero dovuto fare, i manifestanti? Attaccare il cantiere di Bazzano? E con quali obiettivi?); altri che si lamentavano perché non c'erano contenuti.
Personalmente, mi sono fatto l'idea che ci fossero troppi contenuti: c'erano tutti i no possibili e immaginabili, dal boycot Israel al No Discarica. Un calderone, una ribollita da cui fatalmente non emerge nulla.

Parlando con alcuni manifestanti questa idea si concretizza: bisogna trovare nuove forme di manifestazione del dissenso, mi dicono. E mi chiedono se conosco quelli che hanno scritto "Yes we camp", ché è stata una mossa geniale. Sorrido, pensando che il compito del 3e32 è difficile, ma fa breccia, qua e là. E' un inizio.

Così, l'istanza antiG8 che pure passa, si fonde - giustamente - con le istanze di protesta dei terremotati. Il locale si fonde con il globale. Mi pare che non sia un'idea nuova, ma che funzioni.

Per chiudere, la nota stonata. I presunti uomini di sinistra che gridano al sottoscritto di andarmene, con la mia telecamera. Uno di essi mi colpisce, dopo aver gettato a terra la macchina fotografica di un aquilano. Sono pochi, sia chiaro, e li si mette a posto facilmente con un minimo di dialettica. Ma sono assuefatti anche loro, professionisti della manifestazione che non riescono a vedere al di là del loro naso e che non capiscono che il giornalismo dall'interno, diffuso sui media non tradizionali, non sarà un modo per cambiare il mondo. Ma magari aiuta a divulgare le belle iniziative e a cambiare il linguaggio.

Mentre chiudo questo enorme pezzo di puzzle, una scossa di terremoto scuote le pareti di legno del Media Lab del 3e32. 4.0 secondo la scala Richter, epicentro a Poggio di Roio, vicino alla collina del "Yes we camp". Usciamo tutti nel prato. E poi tutti a connettersi su internet per verificare i dati. No, non è finito niente.

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