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Continua il dibattito sull'articolo 36 della costituzione

Nuove frontiere del comunismo: i veri compagni lavorano gratis!

O almeno cosi' sostengono i militanti piu' accaniti di Rifondazione per salvare il loro giornaletto fregandosene di chi ci lavora dentro.
4 agosto 2010 - Ulisse Acquaviva

L'Evirazione, variazione sul tema del logo di "Liberazione"

Il conflitto interno al quotidiano "Liberazione" sta facendo emergere le neoideologie piu' bizzarre, dove gli interessi neoliberisti dei padroni e gli ideali comunisti dei presunti paladini dei lavoratori sfruttati sembrano convergere su un unico principio: l'abolizione dello stipendio.

Per scoprirlo basta guardare cosa scrive Gabriele Simonell, classe 1990, militante attivo del Partito della Rifondazione Comunista e segretario della Federazione di Tivoli dei "Giovani Comunisti", che sulla sua pagina di Facebook si fregia del titolo di "dirigente non stipendiato", quasi a precisare che lui non e' mai stato contaminato dal vil denaro, e che farsi pagare per il proprio tempo e' una cosa cattiva.

Gabriele ce lo spiega criticando accanitamente lo sciopero dei giornalisti di "Liberazione", macchiati della grave colpa di aver scioperato per scongiurare il rinvio a tempo indeterminato degli stipendi.

A chi gli ricorda l'articolo 36 della Costituzione (Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa), Gabriele spiega che il riferimento alla costituzione funziona "quando si parla di lavoro salariato per un azienda,quando ci muoviamo nei confini del capitalismo".

Tra comunisti, invece, il principio "se lavoro mi paghi" e' subordinato alle esigenze della rivoluzione proletaria: "il partito, e anche il giornale, dovrebbero invece essere la cellula di un ordine futuro in cui lo stipendio non è più il riconoscimento dello sfruttamento, e il sacrificio perde la sua valenza passiva e diventa attivo".

Se vi siete persi in questa idea di "sacrificio attivo non retribuito" non preoccupatevi, il meglio arriva alla fine. Un vero "disobbediente" comunista, a detta di Simonell, "avrebbe accettato il congelamento degli stipendi, sarebbe stato l'atto più anticapitalista possibile. Sarebbe stato uno smacco morale anche ai dirigenti burocrati di questo partito".

Non vi ricorda da vicino quel tizio che si taglia le palle per fare dispetto alla moglie? Rinunciare allo stipendio per combattere i capitalisti (e fare un favore agli azionisti della SpA che produce Liberazione), oppure azzerare il proprio valore lavorativo e la propria dignita' professionale, giusto per dare uno smacco ai dirigenti burocrati del partito che comunque la loro paghetta la portano a casa senza preoccuparsi se i voti glieli porta un giornale tenuto in piedi da ex-lavoratori trasformati a forza in volontari.

Un pensiero talmente alto e rivoluzionario da poter nascere solo nella fertile mente di un giovane comunista ventenne (o di un vecchio capitalista ottantenne, fate voi).

Rileggendo meglio tutto fa gelare il sangue come la cultura del padrone abbia attecchito nella mentalita' dei militanti: "i veri comunisti mossi da un ideale lavorano gratis, chi si fa pagare e' nemico della causa"... e' un mantra che ho sentito ripetere piu' volte in varie salse da varie redazioni che volevano risparmiare soldi sulla mia pelle, basta sostituire di volta in volta a "comunisti"  l'espressione piu' adatta al giosnale: ambientalisti, animalisti, altromondialisti...

Purtroppo io ho il doppio degli anni di Gabriele: facendo volontariato per anni nelle organizzazioni piu' varie ho imparato a distinguere le situazioni in cui ero utile agli ultimi e quella in cui ero un utile idiota, e per questo la penso diversamente. Chi lavora gratis in una Spa che produce dividendi per gli azionisti per quanto mi riguarda ricade in una di queste categorie.

1) Se qualcuno fa soldi con il suo lavoro gratuito (in questo caso gli azionisti della MRC SPA che pubblica Liberazione) chi lavora gratis e' un cretino nemico della categoria dei giornalisti che non capisce le tremende conseguenze legate allo svalutare fino a zero il prezzo di un lavoro che richiede tempo, ricerche e approfondimenti. Oppure e' un dipendente in condizioni di debolezza, ricattabile e facilmente sfruttabile per il suo scarso potere contrattuale, che pur di non andare a casa accetta qualunque abuso nella prospettiva che la situazione si normalizzi sul lungo periodo.

2) Se nessuno ci guadagna dal suo lavoro, chi lavora gratis e' un idealista che sta investendo il suo tempo in una causa editoriale (ad esempio nella nostra rivista Mamma! lavoriamo tutti gratis sperando che poi arrivi il momento di pagare tutti quando avremo abbastanza abbonati) ma il fatto di investire tempo e anima in un ideale non autorizza nessuno a criticare chi vuole far rispettare i propri diritti di lavoratore, dove al tempo lavorativo corrisponde sempre un compenso economico.

3) Se al giornalista tutto sommato non interessa se qualcuno ci guadagna o meno col suo lavoro, chi lavora gratis e' un arrampichino in cerca di visibilita' o uno con la pancia piena che non ha bisogno di lavorare per vivere, ma in entrambi i casi questo non ha nulla a che fare col comunismo, anzi. Alimentare con il proprio lavoro gratuito l'idea sempre piu' diffusa nel settore editoriale che tanto qualcuno che scrive e lavora gratis si riesce sempre a trovarlo, e' un comportamento profondamente intriso di cultura padronale capitalista e neoliberista.

Quindi chi dice che "nei giornali comunisti ci voglio solo comunisti veri che lavorano per l'ideale fottendosene dello stipendio" ci spieghi se in realta' vuole riempire le redazioni dei "giornali comunisti" con nemici dei lavoratori, degli arrampichini in cerca di vetrina o dei borghesi con rendita assicurata che si divertono a scrivere assecondando da una parte le tendenze piu' becere allo sfruttamento da parte delle aziende editoriali, e svalutando professionalmente dall'altra un'intera categoria di lavoratori.

E qui mi fermo prima di affrontare il discorso sull'etica del giornalismo, dove indipendentemente dall'essere pagati o meno non si dovrebbero affermare le idee del padrone o le ideologie di un partito, o le "idee ideologiche" di una Spa controllata da un partito, ma selezionare fatti e notizie onestamente a partire dalle proprie convinzioni ideologiche per porgere al lettore strumenti che lo mettano in grado di costruirsi una opinione che sia sua e di nessun altro. Ma forse l'idea di un giornalismo onesto che mette al centro il lettore e' poco rivoluzionaria. Accipicchia, non saro' mai un bravo comunista.

 

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