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No alla guerra, no al nucleare. Un manga dopo Fukushima

Si legge come un fumetto, ma la carica emotiva dirompente, tipica dei manga, qui è data dalla realtà dei fatti, presentati comunque in un’ottica positiva a partire dalla toccante vicenda della madre, per concludere con la prospettiva di un mondo denuclearizzato nelle pagine finali
5 maggio 2011 - Antonella D’Ambrosio e Fabio Giagnoni

Copertina del libro "No alla guerra, no al nucleare"

La madre dell’autore del libro RokurÅ� Haku, ovvero Tokuko Kamohara, è una sopravvissuta alle radiazioni (hibakusha li chiamano in Giappone) di "Fat Man", la bomba atomica più potente cui degli esseri umani siano mai stati esposti, quella diNagasaki, sganciata il 9 agosto del 1945.

Il titolo della pubblicazione No alla guerra, no al nucleare fa immediatamente pensare al tragico disastro che si è abbattuto sulle isole nipponiche lo scorso marzo, a cui sembra non si riesca a porre un rimedio definitivo. È notizia recente che il grado di livello della pericolosità dell’incidente nucleare è stato appena innalzato da 5 a 7, ovvero lo stesso dell’incidente di Ä�ernobyl del 1986, il più grave di tutti i tempi.

Mosso da tali sentimenti, RokurÅ� Haku ha deciso di realizzare l’impegnativo progetto di creare un testo divulgativo accessibile soprattutto alle giovani generazioni, cui è arduo spiegare un tema come gli immancabili usi bellici del nucleare civile, ovvero le armi all’uranio impoverito. C’è pienamente riuscito veicolandolo tramite un manga, ossia uno dei tipici fumetti giapponesi che solitamente si leggono al contrario, da destra verso sinistra, ma che in questo caso è stampato all’italiana per giuste ragioni di fruibilità e leggibilità. Il fumetto racchiude una grande massa di informazioni anche tecniche e fotografiche, rese in maniera scorrevole, di facile lettura per un ragazzino, target prescelto per sensibilizzare le giovani generazioni su questi fondamentali argomenti. L’autore si è avvalso della collaborazione di professori e ricercatori in fisica nucleare, associazioni in prima linea contro l’uso della armi all’uranio impoverito e fotografi d’assalto.

Si legge come un fumetto, ma la carica emotiva dirompente, tipica dei manga, qui è data dalla realtà dei fatti, presentati comunque in un’ottica positiva a partire dalla toccante vicenda della madre, per concludere con la prospettiva di un mondo denuclearizzato nelle pagine finali. Abbiamo fra le mani la versione italiana, grazie al lavoro congiunto di altre due organizzazioni no-profit: Altrinformazione di Bologna e il centro di documentazione Semi sotto la neve, che si è occupato in particolar modo dei contatti con il Giappone e dell’opera di traduzione e a cui sono stati concessi a titolo gratuito i diritti d’autore da Haku e dalla sua casa editrice, la GÅ�dÅ� Shuppan di Tokyo, mentre da noi è stata la rivista satirica di giornalismo a fumetti MAMMA! a occuparsi dell’editing.

Il costo è di 10 euro, circa il doppio della media di pubblicazioni simili, ma, considerando le preziose informazioni che fornisce e che è un numero unico di un’importanza fuori dal comune, sono soldi ben spesi.

Ci son voluti ben tre anni perché l’edizione nostrana potesse essere pubblicata, ma, come sottolineano i curatori, forse è meglio così, visto che l’opera è incredibilmente uscita all'inizio del mese di marzo 2011, ovvero a ridosso di quella che probabilmente verrà ricordata come la peggiore catastrofe nucleare mai avvenuta.

Preveggenza? Era nell’aria?... Di sicuro è nell’aria ora, visto che la nube radioattiva sta sorvolando il globo e chissà quanta morte e sofferenza seminerà nella sua terribile marcia. Tempistica perfetta anche considerate le velleità "radioattive" del governo, la cui marcia indietro sui progetti di nuclearizzazione nazionale forse avverrà controvoglia, sicuramente con colpevole ritardo, sempre ammesso che l’autocritica sia ancora una via contemplata. A riprova degli intenti trionfalistici dei promotori verrebbe da dire che l’operazione è riuscita ma il paziente è morto.

Sfogliando il manga diventa presto lampante come non esista quel fantasma propagandistico chiamatonucleare civile e che anche gli Stati che non accumulano armi di distruzione di massa riutilizzano l’uranio impoverito di scarto nella costruzione di armi, principalmente proiettili e missili, ma anche lastre protettive di carri armati. Chi fa sporchi affari in questo campo prende di fatto due piccioni con una fava: si libera dalle scorie e guadagna con la vendita o rifornisce l’esercito di armi più efficaci di quelle tradizionali, con una forza propulsiva, perforante e mortale di gran lunga superiore, anche per gli stessi soldati che le utilizzano.

Statistiche alla mano, scopriamo che nei conflitti in cui sono state usate armi di questo genere quasi il45% dei soldati rimpatriati mostra sintomi della malattia, che di volta in volta viene chiamata col nome della guerra (Sindrome del Golfo, dei Balcani, ma erano presenti anche nelle recenti guerre in Afghanistan e Iraq). Se consideriamo che in Giappone prima del 1996 il DU (depleted uranium) era utilizzato anche come contrappeso negli aerei di linea, ma che è stato rimosso in seguito alle proteste del personale, i decessi alla spicciolata dei combattenti appaiono ancora più sinistri.

La cosa terribile è che la radioattività dell’uranio impoverito dura 4.500.000.000 anni, la stessa età del nostro pianeta, praticamente in eterno. A quanti altri disastri atroci dovremo assistere prima di convincerci che non esiste sicurezza dove si tratta materiale radioattivo? Le compagnie assicurative, attaccate come sono al denaro e quindi al pragmatismo, l’hanno capito da tempo: infatti, non concedono assicurazioni per proprietà che sorgono nei pressi di una centrale atomica.

Anche nelle miniere di uranio i lavoratori continuano a morire. Appropriata ai tempi è la vicenda della tribù di indiani americani Hopi: avevano profetizzato che, se i bianchi avessero dilaniato il terreno per estrarne il contenuto, il mondo sarebbe finito; puntualmente le corporation hanno espropriato il loro territorio ricco di materia prima, decimandoli con l’inquinamento radioattivo. Da questa storia alcuni registi giapponesi hanno tratto il film La profezia degli Hopi (1986). Di simile tenore è anche il filmKoyaanisqatsi (1982) di Godfrey Reggio (primo di una trilogia dedicata alle profezie degli indiani Hopi), con la colonna sonora di Philip Glass.

Nell’opera di Haku c’è anche una sequela impressionante di altri incidenti occorsi in centrali di tutto il mondo, molti gravissimi, ma sui quali si è tenuto il più stretto riserbo e silenzio, per ovvie ragioni, come si stava tentando di fare all’inizio dell’ultima vicenda giapponese, sminuendo la gravità dell’incidente tramite i mezzi d’informazione.

Un manga fondamentale dunque, da far leggere a quante più persone è possibile, da diffondere, da pubblicizzare e far conoscere, le cui informazioni sono sì terribili, ma preziose per la battaglia contro la guerra e contro la tecnologia nucleare in generale.

Perché a parte il Progetto per un nuovo secolo americano e le correlative teorie complottistiche del progetto HAARP, che alzano più di qualche inquietante dubbio sulle origini di tutti questi terribili sismi, siamo noi a dover decidere come produrre energia; l’unica fonte pulita, in molti sensi, considerata anche l’ingente quantità di petrolio che bruciano i reattori, consiste nelle energie rinnovabili, come afferma a chiare lettere il professor Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino nell’intervista che chiude il volumetto, chiarendo come esse possono facilmente sopperire al fabbisogno nazionale e sottolineando fra l’altro che la soluzione primaria del problema energetico è ridurre i consumi individuali.

Stefania Divertito chiosa con un pensiero che colpisce: è difficile comprendere la portata di questi orrori se non ci hanno toccato da vicino. Fukushima non è stato un caso.  Speriamo sia l’ultimo.

Pubblicato in: 
GN50 Anno III 2 maggio 2011

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